Continua ad accadere, ma l' "Olimpo" fatica a rendersene conto.
Le elezioni in USA hanno confermato un dato che, anche in Europa, appare ormai scontato. E cioè che il favore elettorale delle star nuoce gravemente a chi lo cavalca.
Da Taylor Swift a Clooney e De Niro, un'ampia fetta di vip statunitensi si è spesa in prima persona per demonizzare Trump e spingere Kamala Harris alla Casa Bianca.
Risultato, ha vinto The Donald. E ha vinto di brutto.
Almeno da questo punto di vista, tutto il mondo è paese. Perché anche in Italia la musica è più o meno la stessa.
Cantanti, registi, attori, a pochi giorni dal voto, esprimono le proprie convinzioni, che il più delle volte fanno riferimento all'area che si professa "progressista" e che si contrappone ai brutti e cattivi.
Liberissimi di farlo, ci mancherebbe. Il punto, però, è che, bene che vada, non spostano di una virgola il consenso. Male che vada, rafforzano il fronte opposto.
Naturalmente i fattori che contribuiscono a vittorie e sconfitte sono molteplici e quello citato rappresenta solo una quota marginale degli elementi da prendere in considerazione.
L'impressione, però, è che una parte consistente di elettorato cominci a trovare urticante il combinato disposto di privilegio e snobismo.
Negli USA, così come in Italia, il pubblico chiede in maniera sempre più esplicita ai cosiddetti vip di restare al proprio posto e dedicarsi a ciò che sanno fare meglio: scrivere, dirigere, cantare, recitare.
Un pregiudizio, certo, perché artisti e volti noti sono, prima di tutto, esseri umani, ciascuno con la propria preparazione culturale, la propria sensibilità e la propria capacità di analisi.
Ma ad essere messo in discussione dal grosso dell'elettorato è, prima di tutto, il rapporto con una Realtà complessa, per molti problematica e tormentata e, per la maggior parte delle stelle da "showbiz", difficile da interpretare e impossibile da incarnare.
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Matteo Inzaghi
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