(Adnkronos) - Il 66,5% dei pazienti affetti da mielofibrosi è indipendente dalle trasfusioni dopo 24 settimane di trattamento con momelotinib, un inibitore orale di Jak, recentemente disponibile anche in Italia: è il dato chiave emerso dallo studio clinico Simplify‑1, di cui al Congresso europeo di ematologia (Eha) in corso a Milano viene presentata un'analisi post hoc, che conferma il ruolo di momelotinib nel trattamento dell'anemia, una delle manifestazioni più gravi della malattia. Anche nei pazienti già trattati con altri Jak-inibitori, come evidenziato nello studio Momentum, il farmaco - riporta una nota - ha mostrato benefici significativi su anemia, splenomegalia e sintomi. La mielofibrosi è un tumore del sangue che colpisce circa 350 persone all'anno in Italia, con incidenza maggiore tra i 60 e i 70 anni. "La mielofibrosi - spiega Francesco Passamonti, direttore della Struttura complessa di Ematologia del Policlinico di Milano e ordinario di Ematologia all'Università degli Studi di Milano - può peggiorare più o meno lentamente nell'arco di diversi anni con modalità variabili a seconda del paziente. In genere la fase iniziale consiste in un danno alla struttura del midollo osseo. E' detta fase precoce, o pre-fibrotica, poiché non è ancora presente la fibrosi del midollo osseo". Nella fase avanzata, invece, compare la fibrosi midollare e si osserva una fuoriuscita di cellule staminali immature dal midollo osseo. "Queste cellule, attraverso il sangue - prosegue Passamonti - raggiungono la milza e il fegato, dove si accumulano. Solitamente, quando la malattia si manifesta, sono già presenti le alterazioni tipiche: oltre alla fibrosi, tra le altre, l'anemia e l'ingrossamento della milza. In alcuni casi (10-15 su 100) la mielofibrosi può evolvere in una patologia più severa: la leucemia mieloide acuta". Circa il 40% dei pazienti presenta un'anemia da moderata a grave già al momento della diagnosi, ma si stima che quasi tutti vi andranno incontro nel corso del tempo. Questa condizione richiede cure di supporto aggiuntive, in primis le trasfusioni. E, purtroppo, i pazienti che dipendono dalle trasfusioni hanno una bassa qualità di vita e una sopravvivenza ridotta. Nei casi in cui si riscontri una grave astenia o una splenomegalia importante, la mielofibrosi può impedire di compiere una serie di attività quotidiane 'normali': camminare, salire le scale, rifare il letto, fare la doccia, cucinare. "L'unica terapia ad oggi potenzialmente in grado di guarire - sottolinea Passamonti - è il trapianto di midollo, ma è riservato a una piccola percentuale di pazienti, in genere sotto i 70 anni, a causa della complessità e dei rischi ad esso associati. I pazienti non elegibili a trapianto vengono generalmente trattati con un Jak inibitore. Rispetto agli altri Jak inibitori già utilizzati, momelotinib, somministrato oralmente una volta al giorno ha dimostrato di avere un impatto favorevole su spenomegalia, sintomi e anemia, riducendo in modo significativo il carico trasfusionale". I nuovi dati presentati al congresso Eha - conclude la nota - rafforzano il ruolo del momelotinib come opzione terapeutica efficace per i pazienti con mielofibrosi e anemia, evidenziando l'importanza di intervenire precocemente sull'anemia per massimizzare i benefici clinici. In particolare, il raggiungimento di livelli di emoglobina superiori a 10 g/dL è stato associato a una maggiore sopravvivenza globale. Inoltre, i dati confermano un beneficio sulla prognosi del paziente, per quelli che raggiungono un'indipendenza dalle trasfusioni associata o meno al controllo della splenomegalia. ---salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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Mielofibrosi, speranze da nuovo farmaco che limita l'anemia in 2 pazienti su 3
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Redazione Rete55
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