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Italia e Svizzera: così vicine, così lontane

In un webinair promosso dalla First Cisl, esponenti del mondo bancario, sindacale, imprenditoriale e accademico si sono confrontati sull’esigenza di riaffermare i valori cardine della Regione Insubrica, riducendo i divari che ancora permangono

Pochi metri fisici, molte miglia dal punto di vista pratico.

Nonostante i buoni rapporti di vicinato, le tante sinergie e una identità culturale comune, ben rappresentata dalla ragion d’essere della Regio Insubrica, le differenze tra Italia e Svizzera, e più nello specifico tra Lombardia e Canton Ticino, continuano ad essere profonde e, in alcuni casi, foriere di ricadute che l’emergenza covid ha reso ancor più evidenti e marcate.  

Di questo si è parlato in un interessante convegno andato in scena (e in rete) sabato mattina, grazie all’organizzazione della First Cisl in collaborazione con l’associazione “Etica, Dignità e Valori“.

Coordinati dal padrone di casa, l’esponente sindacale e il presidente dell’associazione Gianni Vernocchi, gli autorevoli interlocutori invitati a esprimersi sulle nuove linee di cooperazione economica italosvizzera si sono soffermati su criticità e potenzialità ancora inespresse. 

Ne è scaturita una riflessione composita, articolata, impreziosita dalla testimonianza di ciascun ambito: Mauro Colombo (direttore di Confartigianato Varese), Gioacchino Garofoli (Università dell’Insubria), Fabio Bednaz, (ricercatore elvetico), Angelo Porro (Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Cantù), Fabio Regazzi (presidente dell’Unione Svizzera delle Arti e dei Mestieri) e Daniele Magon (Segretario Generale della Cisl dei Laghi).

Ad aprire i lavori, due saluti istituzionali “di peso”: quello di Norman Gobbi, presidente del Consiglio di Stato Ticinese, e quello di Massimo Sertori, assessore regionale con delega ai rapporto con la Svizzera.

Il problema – più volte e da varie angolazioni evidenziato – riguarda soprattutto la forte diversità delle norme che regolano la quotidianità al di qua e al di là del confine. Questa vera e propria giungla costa parecchio, specie alle aziende italiane, intralciate da paletti burocratici e fiscali che ne minano la competitività. E nuocciono alle imprese nostrane che operano oltreconfine, spesso caricate da sanzioni per il mancato rispetto di “regole del gioco” che, semplicemente, ignorano.

C’è poi il nodo dei frontalieri: 70 mila gli italiani che lavorano in Canton Ticino. Una miniera di serietà, affidabilità e professionalità, per le imprese svizzere. Un’ottima opportunità lavorativa per gli addetti che vivono al di qua del confine. Ma non dimentichiamo – come ben sottolineato dal leader CISL Magon – che l’emergenza covid ha portato alla luce criticità da sempre esistenti ma finora sottotraccia. Ad esempio, il surplus di povertà che rischia di affliggere i frontalieri, meglio pagati ma privi delle tutele normalmente esistenti in Italia, una volta licenziati.

Più in generale, ciò che manca all’appello e che il convegno della FIRST ha giustamente rivendicato, è quel passaggio storico, politico, economico e sociale più volte invocato ma mai attuato. E cioè la volontà di introdurre principi di reale uniformità tra territori così vicini, così simili, ma ancorati a schemi e legislazioni che alimentano il divario, anziché ricucirlo.

Solo una Regione Insubrica accomunata da un regime analogo in termini di costi dell’energia, iter burocratici e tassazione potrà cancellare, de facto, quella linea di confine che, in periodi di atroce crisi come quella odierna, appare ancor più marcata, ancor più spessa, ancor più invalicabile.

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