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Agente condannato, l’ira di Macchi: “Chi ce lo fa fare?”

Il leader del SIULP, principale sindacato di Polizia, si schiera a fianco del collega gravato da una sentenza a un anno e 7 mesi per i fatti del Gennaio 2020, quando bloccò uno straniero ubriaco e armato nei sottopassi di Varese

E’ un misto di amarezza e incredulità la reazione del principale sindacato di Polizia, il SIULP, di fronte alla condanna a 1 anno e 7 mesi inflitta all’agente che nel Gennaio 2020, a Varese, affrontò uno straniero ubriaco che si aggirava nel sottopasso delle stazioni con due coltelli.

Il giudice ha ritenuto il poliziotto, di 48 anni, colpevole di uso eccessivo della forza e per le versioni dell’accaduto fornite in seguito.

Oggi il leader sindacale, presente in aula al momento della sentenza, ribadisce fiducia nella giustizia, ma esprime diverse perplessità.

Prima di tutto, l’origine del processo, legata non a una denuncia, che lo straniero non ha mai fatto, bensì al filmato della videosorveglianza.

Macchi si sofferma poi sulle conseguenze pratiche e psicologiche della condanna. Per l’agente, significa spese legali e carriera compromessa. Per i suoi colleghi una domanda che mette a rischio la sicurezza di tutti: “Chi ce lo fa fare?.

Infine, la solitudine dell’uomo: Perché, chiede Macchi, accanto all’agente non c’erano anche i vertici di quella Polizia che lui da 30 anni serve con lealtà, guadagnandosi riconoscimenti ed encomi? Magari non ci sarebbe stata l’assoluzione, ma si sarebbe riaffermato il senso di appartenenza a un Sistema che trascende il singolo.

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