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Draghi, la svolta

L’ex presidente della BCE ha ricevuto dal Capo dello Stato l’incarico di formare un nuovo governo: compito accettato “con riserva”, in attesa di incontrare le forze politiche che saranno chiamate a votare la fiducia al nuovo esecutivo

Poco dopo mezzogiorno Mario Draghi ha ricevuto dal Capo dello Stato l’incarico di formare un nuovo governo. L’ex presidente della BCE ha accettato “con riserva”, in attesa di incontrare le forze politiche e verificare la presenza di una (nuova) maggioranza, presumibilmente allargata.  L’avvento a Palazzo Chigi del noto economista, figura apprezzata e stimata a livello internazionale, rappresenta, comunque la si veda, una drastica sterzata dello scenario politico nostrano.

L’Editoriale di Matteo Inzaghi

Arriva il Top di Gamma e il proscenio si ammutolisce.
Oggi Mario Draghi varcherà la soglia del Quirinale, riceverà l’incarico e si metterà al lavoro: per quanto? Con chi? Lo scopriremo a breve. Ma l’agenda delle priorità è facile da intuire: occorre mettere mano al piano da presentare all’UE, affinare la macchina anti covid, far fronte con azioni concrete all’emergenza sociale e occupazionale che, nei prossimi mesi, mostrerà il suo volto più feroce.
Intanto, qualche considerazione si può già accampare.
L’arrivo dell’ex presidente BCE cambia radicalmente la narrazione del Governo.
Draghi non è UN tecnico, bensì IL tecnico. Non me lo vedo prendere ordini dal CTS, né da funzionari ingrigiti, né da virologi narcisi, né da leaderini dal congiuntivo debole, dall’inglese maccheronico o dalla felpa sgargiante.
Spero con tutto il cuore che risponda a una stagione politica stipata di inadeguati, specializzati in strappi e capricci, vanità e ridondanza, avviando un percorso costruttivo, virtuoso e, nella migliore accezione del termine, serio.
Dovrà mettere a disposizione, per qualche tempo, la propria indubbia esperienza. E dovrà farlo alle sue condizioni. Non accetterà, mi rifiuto di credere il contrario, compagni di viaggio improvvisati né istrioni da palcoscenico. Chiederà, anzi pretenderà, competenza, rigore, unità d’intenti, architettando soluzioni complesse per problemi intricati.
Cercherà di archiviare la stagione dei Redditi di Cittadinanza (“I sussidi finiranno, ai giovani bisogna dare di più”, ha detto di recente) e dei bonus a pioggia. Ma anche dei mojiti ministeriali, delle smargiassate “alla D’Urso”, degli inciampi formali spacciati per falcate politiche.
Certo, la tattica di gruppi, partiti e movimenti farà il suo corso: il Parlamento sarà attraversato da umori e convenienze di piccolo cabotaggio, rendite di posizione e scelte di retroguardia.
Dopo il voto di fiducia (ancora tutto da decifrare), non basterà guardare al risultato. Occorrerà capire chi ha votato cosa, soprattutto in partiti grandi, elettoralmente un po’ dopati e scossi da marcate, palesi divisioni interne.
Per una volta, mi auguro, la tecnica del tweet non sarà sufficiente. Ma non lo sarà nemmeno l’ennesima sindrome del Leviatano. Draghi, agli occhi del Mondo, è un “peso massimo”. Ma i sistemi non si cambiano coi singoli, bensì con altri sistemi.
Per costruirne uno nuovo, che in pochi mesi dia le risposte finora mancate (o carenti) servirà l’impegno di tanti, armati di poche parole e molti fatti. In bocca al lupo e massima stima a chi saprà fare, nel bene, la differenza.
E un altolà ai politici che, già in queste ore, gridano allo scandalo: non è Draghi ad aver vinto qualcosa. Siete voi ad aver perso più di un’occasione. M.I.

 

 

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