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“Non è ancora finita. Ma ce la faremo”

Paolo Ghiringhelli, medico e primario dell’Ospedale di Busto Arsizio, racconta questi due mesi vissuti in emergenza, a stretto contatto con una squadra che non ha dato tregua al virus. E che ha salvato molte vite

Un resoconto lungo, dettagliato, da cui spicca il valore del gioco di squadra, della collaborazione e della volontà di sacrificare molto di sé per il bene comune.

E’ quello di Paolo Ghiringhelli – Direttore della Struttura complessa di Medicina interna dell’ASST Valle Olona, Responsabile dei reparti Covid 3 (alta intensità di cura) e Covid 5 dell’Ospedale di Busto Arsizio – che ha voluto condividere con noi dinamiche e retroscena dell’emergenza coronavirus e della lotta contro il tempo avviata, ormai, due mesi fa.

Dopo una serie di informazioni, che partono a Gennaio e fanno riferimento allo scambio, via via più drammatico, tra la Cina e l’OMS, nel mese di Febbraio l’allarme si colora di rosso e la ASST mette mano all’organizzazione interna per farsi trovare pronta.

Ed è a quel punto – racconta Ghiringhelli – che viene assegnato l’incarico di seguire la organizzazione dell’area Covid 2 all’Ospedale di Busto Arsizio, indicando come coordinatrice la mia caposala di Saronno, Antonella.
Con l’aiuto della dottoressa Tiziana Anzini del Servizio Infermieristico riabilitativo aziendale (Sitra) organizzano una zona filtro e un reparto di biocontenimento di alto livello“.

Il direttore ripensa al 2001, quando, a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle, venne richiamato come Ufficiale Medico del Corpo Militare della CRI (per partecipare, sfruttò le numerose ferie residue) alla Scuola Militare di Rieti per la difesa dalle aggressioni biologiche, chimiche e ionizzanti per un corso informativo NBCR. Una formazione che, negli anni, continua ad arricchirsi e aggiornarsi, dimostrando, col senno di poi, una lungimiranza tristemente profetica.

Circa un anno fa, partecipai come docente a un corso per il biocontenimento in caso di attacchi biologici e lo si faceva senza pensare che qualche cosa di simile, purtroppo, sarebbe accaduta“.

Subito dopo la preparazione delle aree dedicate di isolamento – prosegue Ghiringhelli – si inizia a lavorare con i malati Covid in modo ingravescente e così pure il resto dell’Ospedale con il reparto di Malattie Infettive, i neoreparti Covid 0, Covid 1, Rianimazione 0, 4, 7. E’ nei momenti drammatici che si vede la reale personalità di uomini e donne e su quali valori hanno basato la loro esistenza personale e professionale. Si rende subito evidente la necessità di guardie notturne dedicate, poiché i pazienti in ventilazione non invasiva hanno bisogno di frequenti interventi del medico: o per riposizionare il casco della C PAP o per ricevere incoraggiamenti a resistere alla claustrofobia che inevitabilmente si presenta indossando il presidio o la maschera“.

I ritmi si fanno tosti e l’equipe di Busto Arsizio comincia a macinare giorni, notti, settimane, orari continuati, arrivando a perdere la nozione del tempo in quella che assume sempre più le sembianze di una trincea. Ma l’approccio è solidale e la parola d’ordine, per tutti, diventa sacrificio.

Dopo la terza notte che facevo in quasi una settimana i medici che non avevano inizialmente aderito si sono resi conto che in 3 colleghi non ce l’avremmo mai fatta da soli e così progressivamente tutta l’équipe ha detto sì. Quelli in grado di gestire la ventilazione non invasiva sono stati arruolati nei Covid di nostra responsabilità, gli altri sostenevano l’attività ordinaria dei pazienti non Covid e ci sgravavano delle attività burocratiche. Fortunatamente dei benefattori, stimolati da una nostra collega, si sono impegnati con finanziamenti a fare avere a disposizione dei respiratori meccanici, che ci hanno permesso di gestire i caschi o la ventilazione non invasiva in modo adeguato“.

Non manca il prezioso contributo delle menti più inventive.

Grazie a mio cognato, prosegue, recupero una dottoressa ingegnere, le spiego di progettarmi una maschera che possa montare i filtri antivirali che mi avevano donato e inizio il giorno seguente a usare anche un presidio stampato da una stampante 3 D. Il presidio nel frattempo giorno dopo giorno veniva perfezionato con nuove edizioni e ora è in fase di certificazione al Politecnico di Milano“.

Ma il Covid è un nemico tosto, tutt’altro che arrendevole.

I pazienti, purtroppo, a tratti sembravano migliorare e poi improvvisamente peggioravano alcuni fino all’exitus. Lottavamo, lottavamo, lottavamo“.

Il tutto cercando di restare aggiornati e di recuperare le informazioni necessarie da chi, quella battaglia l’ha cominciata prima di noi.

Appena possibile leggevamo tutti gli articoli dedicati delle più importanti riviste scientifiche, cercando di sfruttare al meglio l’esperienza dei cinesi, ma la genetica è diversa: da noi lo steroide funzionava e funziona quando dato al momento giusto“.

Pian piano, la morsa si allenta. Ma la guardia resta alta.

Il lavoro attualmente è comunque costante e permette di avere letti di riserva. E’ stata preziosissima l’istituzione dal nulla di un reparto di semintensiva, con preziosissimi monitoraggi seguiti a distanza dal personale, monitoraggi che tuttora permettono di seguire al meglio i pazienti senza esporre gli operatori al rischio continuo di contagio e permettono di risparmiare i dispositivi di protezione individuali di livello protettivo adeguato che sul mercato sono quasi introvabili“.

Il lungo resoconto si chiude con una serie di ringraziamenti, alla squadra che lo affianca fin dal primo giorno e alla direzione Strategica di ASST Valle Olona. Ma anche allo slancio solidale arrivato dall’esterno e al Vescovo di Varese, Monsignor Franco Agnesi, per aver inviato un medico internista, don Fabio Stevenazzi, che ha contribuito fattivamente ai turni di guardia e di assistenza”.

Infine, come accennato l’emblematica chiosa: “Non è ancora finita. Ma ce la faremo“.

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