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Castori, bocciato dal Varese. Promosso dalla vita

L’allenatore esonerato nel 2013, con i biancorossi in zona playoff, ha conquistato la seconda promozione in Serie A, questa volta con la Salernitana

Sei anni fa, nel maggio del 2015, il Varese stava salutando la Serie B e per la città si annunciava molto più di una retrocessione con l’incombere dell’ennesimo fallimento societario.
Nello stesso periodo, Carpi, notevole polo tessile dell’Emilia, poteva invece gustarsi l’emozione della prima promozione in A, grazie a Fabrizio Castori, allenatore che, due anni prima, nel 2013, sognava lo stesso traguardo a Varese, dove però era stato esonerato il 17 aprile, all’indomani della sconfitta con la Pro Vercelli.
Non possiamo sapere se Castori sarebbe riuscito a compiere l’impresa a Varese ma il tecnico è un tipo inesauribile e lunedì 10 maggio ha conquistato la A per la seconda volta, con la Salernitana: positivo al Covid per 19 giorni, ha saltato le ultime tre partite con Monza, Pordenone, ed Empoli, tornando in panchina in tempo per vincere 3-0 la trasferta di Pescara e festeggiare la decima promozione di una carriera incominciata con una interminabile gavetta. È lui l’unico allenatore che ha scalato tutti i gradini del calcio italiano, dalla Terza categoria alla Serie A. Ed è stato vittima di preconcetti, nati dalla finale dei playoff per la B vinta, quando era alla guida del Cesena nel 2004, sul campo del Lumezzane, dopo una rissa di cui era stato protagonista. Aveva preso tre anni di squalifica, ridotti poi a due: «Un brutto colpo – diceva – una mortificazione che si avvicina alla perdita di dignità di chi si trova impantanato nel problema della droga». Ma Castori ha trovato dentro di sé tanta forza per reagire e l’ha fatto diventando anche un esempio per i ragazzi della comunità di San Patrignano: li allenava in Terza Categoria, durante la sua maxi squalifica, e li trattava come quelli che giocavano in B col Cesena, club che lo aveva confermato nonostante l’impossibilità di andare in panchina: «L’amicizia con loro – raccontava – è arrivata dopo qualche allenamento, quando tutti hanno capito il mio modo di fare calcio, che per me vuol dire tirare fuori il meglio dal gruppo. Questa è la parola chiave perché quando ci si sente parte di un gruppo si riesce a crescere insieme e ci si arricchisce grazie ai compagni. Il pallone è un mezzo di unione sociale, sa essere emozionante e serve anche per imparare a stare insieme. Trattavo i giocatori del San Patrignano come quelli del Cesena, puntando alla loro maturazione in campo e a quella caratteriale».
Castori, che come dicevamo, è stato vittima di preconcetti, si è sempre battuto contro ogni forma di pregiudizio: «È capitato – confidava – che qualche avversario si rivolgesse ai miei ragazzi chiamandoli “drogati”, come se fosse un insulto, una macchia indelebile. Ma risalire dopo aver toccato il fondo è possibile».
L’umanità di Castori traspare limpida guardandolo negli occhi e si legge sulla sua lingua che non si frena né per calcolo né per convenienza. Il tecnico dice sempre quello che ha nel cuore, anche a costo di sembrare impopolare o di inimicarsi chi non la pensa come lui. È un marchigiano ruspante e sanguigno che, mentre si racconta, mette in fila, veloce, una parola dietro l’altra. Il suo inconfondibile accento porta dritto a San Severino Marche, dove è nato l’11 luglio del 1954: «Sono figlio – ama ricordare – di un operaio e di una sarta. Mio nonno era un trovatello e posso dire di non sapere nemmeno quali sono le mie origini. Ma so che cosa bisogna fare per sudarsi il pane di ogni giorno: lavorare e mettere tutto se stessi in quello che si fa».
Onore, dunque, a Fabrizio Castori, capace di trasformare la sua infinita passione per il calcio nella professione della vita, anche grazie all’aiuto della moglie Paola, inseparabile e amorevole compagna fin dai tempi della scuola, e di diventare molto più di un vincente.

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