(Adnkronos) - Due suore dalla faccia di gomma e fianchi imbottiti, cloni in lattice del volto di Till Lindemann, fanno capolino ai lati del palco. È un’apparizione grottesca, disturbante quel tanto che basta a far capire che all’Alcatraz di Milano sta per andare in scena uno spettacolo fuori dal comune. Le luci si tingono di blu, parte ‘Fat’ e le due iniziano una lap dance che strappa risate e applausi. Al centro del palco Lindemann, faccia dipinta d’oro e completo nero d’ordinanza con alamari dorati. Alle sue spalle, il solito Joe Letz: una macchina più che un batterista, issato in una sorta di gabbia con due artigli metallici, animale da palcoscenico e forse il personaggio più folle in circolazione. Il perché si capirà presto. Lo show di Till Lindemann, del resto, è un’esperienza sensoriale estrema, vietata ai minori di 18 anni più per filosofia che per reale necessità: non ci sono immagini davvero scioccanti, solo sensualità ostentata, humor nerissimo e provocazione che scorre a fiumi. È teatro granguignolesco, musica industrial e cabaret perverso triturati insieme con precisione. E forse proprio per questo funziona. Per il suo ritorno in Italia, dopo la tappa estiva a Lucca, il frontman dei Rammstein porta in scena il suo progetto solista con il ‘Meine Welt Tour’, più sperimentale e meno legato all’imponenza titanica della band madre. Esplicito in ogni accezione, eccessivo ma capace di improvvisi slanci poetici, Lindemann rimane uno dei simboli contemporanei dell’industrial metal: un genere tradizionalmente indigesto alle masse, che lui e i Rammstein hanno trasformato in fenomeno popolare. Ad aprire la serata pensano gli Aesthetic Perfection, che scaldano l’Alcatraz con il loro mix di electro-industrial, preparando il terreno a ciò che accadrà a breve. Till appare con tutta la band in divisa nera e oro, cappotti militareschi e cappelli coordinati. L’apertura con ‘Fat’ è chirurgica e dà il tempo a tutto ciò che verrà. In ‘Golden Shower’ sullo schermo scorrono immagini di vagine con piercing, sequenze che più che disturbare puntano alla pura provocazione, e durante ‘Allesfresser’ stappa champagne e offre cestini di frutta al posto delle celebri torte alla panna che solitamente volano dal palco. In questa versione ‘dietetica’, il vero protagonista è Joe Letz: si avvicina al pubblico vestito da donna, inizia a sfilarsi dei finti tampax intrisi di sangue e li lancia ai fan come fossero coriandoli. È il momento in cui il confine tra disgusto e comico si sfalda completamente. Durante ‘Fish On’ il chitarrista Danny Lohner (ex Nine Inch Nails) impersona un chirurgo che estrae pesci finti dal corpo di Letz e li scaglia in platea. Tutto è teatrale, volutamente eccessivo da essere ipnotico. Così come Kristin Kaminski che sostituisce Constance Day alle tastiere: mentre suona le sue pose da contorsionista sono, in tutta sincerità, davvero ammalianti. Tra la marcia ossessiva di ‘Sport Frei’ e la cinica ‘Praise Abort’ - inno satirico alla paternità irresponsabile e alla società ipocrita - lo spettacolo continua a cambiare pelle. Le recenti ‘Meine Welt’ e ‘Und die Engel singen’ confermano l’anima provocatoria e carnale del progetto. La parentesi electro di ‘Platz Eins’ è uno dei momenti più riusciti: Till abbandona il palco, riappare tra il pubblico mentre una GoPro sulla sua testa proietta in diretta le reazioni della sala. Il registro torna cupo con ‘Skills in Pills’, recitata con tono divertito mentre Till elenca il suo catalogo di dipendenze e rimedi: pillole per l’umore, per la virilità, per dimenticare. Il climax arriva con ‘Knebel’, disturbante e magnetica, accennata dopo la più intima ‘Übers Meer’ prima di chiudere con il sarcasmo di ‘Ich Hasse Kinder’, attacco frontale al politicamente corretto mascherato da filastrocca velenosa. Nonostante le proiezioni spesso esplicite, qui ridotte, l’impatto visivo resta altissimo fino all’ultimo secondo. La band è una macchina perfetta, i visual diretti, il suono massiccio. E le ballerine completano il quadro: una di loro danza sul palco con la grazia di un’étoile uscita da un teatro classico, non fosse per il completo in Pvc nero che rende l’immagine assai distopica. Carismatico, controverso, teatralmente irriducibile, Lindemann ti prende per mano con un sorrisetto sadico e ti trascina in un mondo a parte. Lo fa da sempre e continua a farlo, nonostante tutto. Chi pensava che lo slogan “Kill Till”, urlato da alcune attiviste e comparso sui muri di Berlino durante le polemiche di due anni fa, potesse realmente scalfirne l’impatto, si è dovuto ricredere. Le accuse di molestie che avevano investito il frontman sono state successivamente archiviate dalla Procura di Berlino e il suo pubblico è rimasto lì, compatto, a sostenerlo senza esitazioni. Il suo show è tutto ciò che un concerto non dovrebbe essere, ed è proprio per questo che funziona terribilmente bene. (di Federica Mochi)
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Redazione Rete55
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